Un logo un perché
Questa sarebbe potuta essere la storia più lunga mai scritta sulla creazione di un logo, purtroppo nato non bene e di fatto mai finito.
Dico sarebbe perché non scriverò qui tutte le mirabolanti avventure che mi hanno accompagnata nel percorso di questo lavoro, mi limiterò a dire che a volte bisognerebbe fidarsi molto di più del proprio istinto.
Da libera professionista infatti mi sono imbattuta diverse volte in situazioni che sin dall’inizio mi hanno resa scettica, ma questa volta è stata clamorosa, perché davvero i segnali per scegliere di non procedere c’erano tutti, sin dalla prima mail arrivatami dalla cliente, ma io, forse inebriata dai fiori di maggio, ho scelto di andare avanti ugualmente e il risultato è stato disastroso.
Quando già in partenza le idee non sono chiare, in primis sul proprio business, è abbastanza ovvio che creare la propria immagine diventa un’impresa impossibile e qui nello specifico la persona che mi ha commissionato il lavoro era evidentemente in un momento di smarrimento personale, dunque in una condizione del tutto sfavorevole per intraprendere un percorso di branding.
Cos’ha significato tutto questo?
Beh, nel concreto non c’erano alla base delle idee dalle quali partire, nessuna traccia di competitors o ispirazioni, poca collaborazione ed una costante insoddisfazione.
Ogni proposta convinceva solo in parte e c’era la pretesa di mettere insieme troppe cose senza una logica precisa (cosa che accade spesso, ma che normalmente può essere gestita con le giuste argomentazioni); la mia fatica più grande non è stata proporre un’immagine convincente, ma prendere per mano la cliente per condurla in una direzione adeguata, nonostante la sua sfiducia.
Quando poi, con sforzi sovraumani sembravamo essere giunte alla conclusione, lei si è dichiarata delusa e insoddisfatta, non ha teminato di pagare il lavoro svolto e ovviamente si è dileguata.
A me è quindi rimasto l’amaro in bocca, un logo sul groppone e una buona dose di scoraggiamento.
Scelgo comunque di pubblicare una parte di questo percorso, perché ogni professione è fatta anche di intoppi e trovo più onesto raccontare anche questo tipo di case study, certo sperando che rimangano pochi e sporadici.